LA LEGGE ELETTORALE: alcuni utili chiarimenti
Cosa significa collegio elettorale?
E’ una porzione di territorio che racchiude più comuni (o più quartieri nelle città più popolose) confinanti. E’ la base su cui la legge agisce per ridurre milioni di voti e ‘trasformarli’ in 400 deputati e 200 senatori.
Collegio uninominale – In questo tipo di collegi si presentano singoli candidati, uno contro l’altro. E’ sempre associato al concetto di elezione maggioritaria, ovvero il più votato tra i singoli candidati risulta eletto.
Collegio plurinominale – In questo tipo di collegi si presentano liste di candidati, ed è associato (semplificando) al concetto di elezione proporzionale, ovvero gli eletti delle singole liste vengono scelti in proporzione ai voti ricevuti.
Es. nel collegio plurinominale X si presentano tre partiti (A, B e C). Bisogna eleggere in questo collegio 10 deputati. Ognuno dei tre partiti presenta un listino di 10 nomi. Se A prende il 50% dei voti otterrà il 50% dei seggi, ovvero 5 eletti. Se B prende il 30%, avrà 3 eletti, e C con il 20% i restanti 2.
La scheda elettorale
L’Italia viene divisa in 147 zone (chiamati collegi). Uno di questi collegi – per fare un esempio concreto – è la città di Bologna. Nel collegio di Bologna ci sarà un numero ancora non definito di candidati. Qui di seguito vedete com’era una scheda elettorale nel 2018, quando i candidati erano 11. I candidati, indicati con nome e cognome nella parte alta di ogni riquadro, saranno associati ai partiti che li sostengono.
I cittadini di Bologna che andranno a votare dovranno scegliere il candidato e lo potranno fare o mettendo una croce sul nome che scelgono oppure sul simbolo di una delle liste. Agli effetti della scelta del candidato, barrare il nome in alto o il simbolo è identico.
Sulla scheda come vedete ci sono però anche altri nomi. Quelli sono i candidati del cosiddetto “listino bloccato”: cosa succede loro lo vedremo dopo.
Chi viene eletto? Chi prende più voti
Viene eletto il candidato che in questo collegio (la città di Bologna) ottiene più voti. Basta anche un voto in più degli avversari per essere eletto deputato. Nel 2018 i circa 145mila elettori che sono andati a votare avevano eletto De Maria con 54mila voti, quattordicimila in più di Scarano.
De Maria è stato eletto con il 37.2% dei consensi ma sarebbe bastata qualsiasi percentuale, purché fosse più alta di quella dei suoi avversari.
Questo è il sistema maggioritario. La parola “maggioritario” l’avrete sentita spesso associata al termine “uninominale”, perché vanno a braccetto: uninominale vuol dire che ogni partito o ogni coalizione presentano un solo nome, come in questo caso. E vince solo uno (quello che ha la maggioranza relativa).
Questo è il primo motivo per cui esistono le coalizioni: per mettere insieme i voti di più partiti dietro a un singolo candidato.
Si elegge così un deputato ( metodo maggioritario ) per ognuna delle 147 zone in cui è divisa l’Italia. Cosa succede per i restanti 253 per arrivare ai 400 deputati da eleggere? Otto sono eletti all’estero ma per ora possiamo lasciarli da parte. Restano quindi 245 deputati da eleggere.
Come si eleggono due terzi dei deputati
Qui entra in gioco l’altra parola chiave delle elezioni: proporzionale. Vediamo come.
La prima cosa da fare a questo punto è sommare tutti i voti di tutti i partiti in tutta Italia. Nel 2018 la ‘classifica’ appariva così:
Movimento 5 Stelle: 10.697.994 voti
Partito Democratico: 6.134.727 voti
Lega: 5.691.921 voti
e così via.
In percentuale: i 10.697.994 di voti del M5s erano pari al 32,7% di tutti voti. Il Partito Democratico aveva ricevuto il 18,7% e i voti della Lega corrispondevano al 17,4%.
“Proporzionale”, l’avrete capito, è autoesplicativo: i 245 deputati restanti vengono eletti in proporzione ai voti ricevuti dai singoli partiti.
Con alcune semplificazioni, date queste percentuali 80 deputati andrebbero al M5s, 45 al Pd e 42 alla Lega.
Dal voto al nazionale, dal nazionale al territorio
Non è finita qui, perché ovviamente vanno scelti i singoli deputati: chi sono quei 45 che si attribuiscono al Pd? Con un complicato sistema di ripartizione territoriale, si torna sul territorio, anche se a un livello superiore a quello delle 147 zone iniziali.
Il territorio nazionale a questo scopo è diviso in zone più ampie dei collegi uninominali, che in molti casi corrispondono a intere regioni – quelle con meno abitanti, dalla Calabria in giù – in altre accorpano solo due o più collegi. Anche questi – in quanto ‘parti del territorio’ – si chiamano collegi, ma sono plurinominali.
Come potete immaginare, se “uninominale” vuol dire che si presenta un solo candidato, “plurinominale” vuol dire che si presentano più candidati. E qui torniamo agli altri nomi presenti – accanto al simbolo dei partiti – sulla scheda elettorale. Il cosiddetto listino bloccato.
Il calcolo complicato di cui sopra arriva a definire in quali collegi plurinominali i 45 deputati del Pd devono essere eletti. Ad esempio: 3 nel collegio che include Bologna, 1 a Milano e zero in Sicilia. La distribuzione è difficile, piena di controlli e correttivi, ma il totale deve fare 22 e rappresentare la distribuzione dei voti nazionali dei partiti.
Legge elettorale: cos’è il listino bloccato e come funziona
Ultimo passaggio. Per scegliere i 3 deputati eletti a Bologna a questo punto si va a guardare la lista dei nomi e si prendono i primi 3. L’ordine del listino definisce l’ordine di elezione: per questo si dice “bloccato”. L’alternativa – che la legge elettorale non prevede – è quella delle preferenze: quando ci sono le preferenze, l’ordine è stabilito dal numero di quelle ricevute, come nelle elezioni comunali.
A questo punto abbiamo anche gli altri 245 deputati eletti, che si sommano ai 147 uninominali e agli 8 eletti all’estero. E la nuova Camera è pronta per essere convocata.
Al Senato il meccanismo è molto simile, con numeri dimezzati: 74 senatori eletti nei collegi uninominali, 122 nei collegi plurinominali e 4 all’estero. In più, al Senato la distribuzione dei seggi non avviene a livello nazionale, perché la Costituzione prevede che il Senato sia eletto su base regionale.
Quindi: Camera e Senato sono eletti con una legge elettorale simile, in parte maggioritaria-uninominale (un terzo) e in parte proporzionale-plurinominale (due terzi). L’elettore ha però un solo voto, con cui contribuisce a definire le parti.
Legge elettorale: le soglie di sbarramento
Aggiungiamo un’ultima cosa, di cui non abbiamo parlato finora: le soglie di sbarramento. Per ottenere dei seggi, i partiti devono superare un certo numero di voti minimi, altrimenti avranno zero posti in Parlamento.
Un partito deve avere almeno il 3% dei voti oppure presentarsi in una coalizione di partiti che ottengono insieme il 10%, con delle eccezioni per i partiti forti in singole regioni o per le rappresentanze delle minoranze linguistiche.
E’ questo il secondo motivo per cui esistono le coalizioni.
In ogni caso, i partiti che non raggiungono l’1% non accedono al riparto dei seggi.